M. Tosarolli, ‘My Land’, in Justinien Tribillion et al [eds] Dark Matters, Migrant Journal no. 4, 2019
Over the years, Palestinian prisoners have developpped numerous secret and autonomous systems in order to exchange messages: they are wrapped inside small balls of bread and projected accross the prison; or perhaps rolled, wrapped in plastic and swallowed to be moved from one cell to the other through the body and finally exchanged in common areas: the canteens, the nursery wards, the court cells. This very system is used to carry messages outside of the prison. Letters are often handed over a deteinee whom is soon to be released, the only bridge standing between the inside and the outside. After having swallowed them, carrying them in the only place where he cannot be searched, he can deliver the letter to those waiting outside.
Thanks to the testimonies gathered in Palestine during the last three months of 2016, the project explores the life outside and inside the prison in relation to these informal systems of communication and resistance. The narration develops through interviews, stories, photographs, original documents and archival materials, thus creating a choral narration which is at once intimate and political.
“Everywhere: in the Ashkelon prison, in Ramla prison, in the prisons all over the country prisoners began to hide pencil lead. The aim of the Israel security forces was to prevent information exchange among prisoners. For them, the fact we were hiding pencil lead from their sight was as threatening as hiding Kalashnikovs.”
Fahed H. (Abu Dis, Jerusalem. December 2016)
Thanks to the testimonies gathered in Palestine during the last three months of 2016, the project explores the life outside and inside the prison in relation to these informal systems of communication and resistance. The narration develops through interviews, stories, photographs, original documents and archival materials, thus creating a choral narration which is at once intimate and political.
“Everywhere: in the Ashkelon prison, in Ramla prison, in the prisons all over the country prisoners began to hide pencil lead. The aim of the Israel security forces was to prevent information exchange among prisoners. For them, the fact we were hiding pencil lead from their sight was as threatening as hiding Kalashnikovs.”
Fahed H. (Abu Dis, Jerusalem. December 2016)
Negli anni i prigionieri palestinesi hanno sviluppato innumerevoli sistemi autonomi e segreti per scambiarsi messaggi: avvolti nella mollica di pane e lanciati come palline da un recinzione all’altra del carcere, oppure arrotolati, avvolti nella plastica e ingoiati per essere trasportati di cella in cella attraverso il corpo e scambiati nelle aree comuni: le cucine, l’infermeria, le celle del tribunale. Con questo stesso sistema i messaggi vengono fatti uscire dal carcere.
Le lettere vengono consegnate ad un detenuto che sta per esser rilasciato, unico ponte tra l’interno e l’esterno, che dopo averle ingoiate, le porta a chi asptta fuori attraverso l’unico posto dove non può essere perquisito.
Grazie alle testimonianze raccolte in palestina negli ultimi tre mesi del 2016, il progetto esplora la vita fuori e dentro il carcere in relazione a questi sistemi di comunicazione. la narrazione si sviluppa attraverso interviste e storie, fotografie dirette, documenti originali o d’archivio, creando un racconto corale allo stesso tempo intimo e politico.
“Ovunque: nel carcere di Ashkelon, nel carcere di Ramla, nelle carceri di tutto il paese, i prigionieri iniziarono a nascondere le mine. Lo scopo degli israeliani era combattere lo scambio di informazioni fra i prigionieri. Quando nascondevamo le mine delle matite per loro era come se avessimo nascosto dei Kalashnikov.”
Fahed H. (Abu Dis, Jerusalem. December 2016)
Le lettere vengono consegnate ad un detenuto che sta per esser rilasciato, unico ponte tra l’interno e l’esterno, che dopo averle ingoiate, le porta a chi asptta fuori attraverso l’unico posto dove non può essere perquisito.
Grazie alle testimonianze raccolte in palestina negli ultimi tre mesi del 2016, il progetto esplora la vita fuori e dentro il carcere in relazione a questi sistemi di comunicazione. la narrazione si sviluppa attraverso interviste e storie, fotografie dirette, documenti originali o d’archivio, creando un racconto corale allo stesso tempo intimo e politico.
“Ovunque: nel carcere di Ashkelon, nel carcere di Ramla, nelle carceri di tutto il paese, i prigionieri iniziarono a nascondere le mine. Lo scopo degli israeliani era combattere lo scambio di informazioni fra i prigionieri. Quando nascondevamo le mine delle matite per loro era come se avessimo nascosto dei Kalashnikov.”
Fahed H. (Abu Dis, Jerusalem. December 2016)